Modifiche morfologiche e funzionali maculari in pazienti affetti da Sindrome di Irvine-Gass dopo impianto intravitreale di desametasone

Maria Luisa CARRELLA1, Alessandro TIEZZI2, Romolo APPOLLONI1, Filippo CRUCIANI2, Rossella APPOLLONI3
1Uoc Oftalmologia, Ospedale S. Eugenio, Roma – 2Dipartimento testa-collo, Clinica Oculistica, Università Sapienza, Roma 3Dipartimento Nesmos Seconda Facoltà Medicina e Chirurgia, Università Sapienza, Roma

 

INTRODUZIONE
La comparsa di un edema maculare cistoide (ECM) è ancora riconosciuta come una delle cause più comuni di scarso recupero visivo dopo l’intervento chirurgico di cataratta1-2.
Storicamente il primo a definire le alterazioni vitreali e maculari che potevano verificarsi dopo l’estrazione della cataratta fu Irvine nel 1953 (si era in piena epoca di estrazioni intracapsulari – ICCE); in seguito nel 1966 Gass e Nortorn ne misero in rilievo l’aspetto fluorangiografico, questa patologia è quindi conosciuta come Sindrome di Irvine-Gass3-4.
Da un punto di vista anatomopatologico si verifica un accumulo di liquido proteinaceo in corrispondenza dello strato plessiforme esterno e nucleare interno della macula; nei casi particolarmente severi l’imbibizione edematosa può coinvolgere l’intero spessore retinico dalla membrana limitante interna a quella esterna. Come è facilmente intuibile, l’accumulo di fluido distorce la normale anatomia regionale della macula con ripercussioni sulla funzionalità visiva.
L’insorgenza nella maggior parte dei casi si ha dopo 4-10 settimane dall’intervento, anche se più raramente l’inizio può essere più tardivo; il paziente lamenta un offuscamento o un calo del visus in associazione spesso a micropsia o metamorfopsia.

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